La spiritualità nella dipendenza

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La spiritualità nella dipendenza

MENSILE A CURA DEL CENTRO SAN NICOLA.
N.1 OTTOBRE 2019.

 

Il fondatore del Centro San Nicola, Vincenzo Aliotta, illustra le origini del rehab, le prospettive che si aprono per il futuro, la sua filosofia e il metodo utilizzato per contrastare le dipendenze, senza dimenticare di dipingere un quadro dettagliato di quelle nuove, sempre più legate alle dinamiche di una società in profonda trasformazione di cui appaiono uno specchio purtroppo nitido.

 

Dottor Aliotta, come nasce il Centro San Nicola? Quali esigenze l’hanno portata a creare questo rehab tra i più innovativi in Italia?
La struttura nasce nel 2013, ma da tempo stavo pensando di realizzare un centro in cui si avviasse un nuovo sistema di contrasto alla dipendenza. La sua creazione è strettamente legata al mio percorso professionale che mi ha portato anche all’estero, in Francia, negli Stati Uniti ed in Inghilterra ove ho avuto l’opportunità di frequentare strutture riabilitative, quasi tutte caratterizzate da percorsi impostati ad una residenzialità breve, ben differenti dunque dal sistema diffuso nelle strutture comunitarie riabilitative in Italia, che al contrario sono quasi tutte impostate su percorsi dalla durata che a volte si protrae anche per qualche anno, sottraendo per tempi lunghi i pazienti a quello che è un rientro invece in società, molto importante ai fini di una ripresa di contatto con la realtà della vita. Di fatto, il Centro San Nicola è stato quasi una scommessa, incentrando la propria attività su un percorso sostanzialmente sconosciuto in Italia o comunque non praticato. Il percorso si atteneva, e si attiene, tutt’ora, a principi innovativi che prediligono l’inserimento e non l’estraniamento dalla società, una caratteristica peculiare molto importante è poi la presenza di operatori con anni di sobrietà che provengono da gruppi di auto aiuto, basati sui 12 passi, e che diventano counselor a tutti gli effetti nel supporto agli ospiti della struttura. Il paziente resta in carico al San Nicola per due mesi, e una volta dimesso continua ad essere assistito per altri dieci mesi, con follow up a cadenza quindicennale, una modalità che di fatto non trova applicazioni nel nostro paese.

Perché a suo avviso?
Probabilmente per via di una cultura che in Italia è eccessivamente protezionistica, sulla base della quale il paziente deve restare quasi isolato, impegnandosi in lavori materiali e con una serie di sedute psicoterapiche di sostegno una o due volte alla settimana. Il metodo da noi seguito ha superato il concetto di residenza protratta, sostituendolo con una permanenza caratterizzata da una full immersion, in programmi riabilitativi ad indirizzo psicoterapico, psicoeducazionale e psicofisico. Il percorso prevede che alla dimissione il paziente venga seguito non solo dai nostri operatori con un follow up di verifica, ma anche dai servizi territoriali delle dipendenze e dai gruppi di auto aiuto diffusi sul territorio; in definitiva stendiamo una rete protettiva a maglie fitte e, in questa maniera, garantiamo un risultato di successo nella preservazione della sobrietà.

Quali sono gli sviluppi del Centro San Nicola, dottor Aliotta?
Stiamo cercando di migliorare il sistema allargando il progetto anche alla famiglia del paziente che rappresenta l’altra faccia della medaglia del quadro generale. Pensiamo ad un coinvolgimento anche da ‘remoto’ dei familiari che da casa dovrebbero, ad esempio, scrivere la storia della vicenda che li vede coinvolti e di come è stata da loro vissuta. Quindi pensiamo di prevedere anche per loro un rapporto con gli stessi counselor. La famiglia del paziente deve prendere coscienza che non è solo vittima della situazione, ma può anch’essa essere malata, e diventare, talvolta, scelgo apposta una parola forte, addirittura carnefice.

Una caratteristica del Centro è quella di ospitare anche pazienti di nazionalità inglese e olandese e di possedere pertanto un respiro internazionale. Come nasce questa dimensione?
Se vogliamo, all’inizio in maniera anche casuale, sebbene l’interesse verso il contesto anglosassone fosse in me molto presente da anni. Un amico psichiatra visitando la struttura, mi parlò dell’abitudine dei pazienti inglesi di recarsi all’estero per sottoporsi ai processi riabilitativi in strutture simili alla nostra e, a suo avviso, la collocazione del San Nicola in quel contesto, così ameno, con un paesaggio collinare di per sé rassicurante e rilassante sarebbe stato sicuramente gradito ed apprezzato da ospiti stranieri. Un altro motivo è sicuramente costituito dal fatto che abbiamo adottato nel processo riabilitativo il metodo del modello Minnesota basato sullo studio dei 12 passi, come è uso nelle Rehab anglossassoni. Per quanto spiegato sopra, la nostra struttura si è resa facilmente attrattiva per i clienti provenienti dai paesi dell’Inghilterra e dell’Olanda, non dimenticando da ultimo la ricchezza del patrimonio artistico e culturale della regione dove siamo collocati. Stiamo inoltre prendendo contatti con società americane per accogliere militari statunitensi delle basi Nato. Da ultimo, va ovviamente rilevato che in Italia siamo l’unica struttura riabilitativa che ha una equipe che lavora in lingua inglese. Ed ora può aprirsi un nuovo orizzonte, verso Est… Sì, forti di questa esperienza positiva effettuata con pazienti anglofoni abbiamo deciso di orientarci anche verso pazienti provenienti dalla federazione russa essendo la Russia fortemente carente di strutture dedicate alla riabilitazione funzionale dei tossicodipendenti da alcol e altre sostanze. Opportunità resa possibile dal fatto che possiamo contare anche per questi pazienti su uno staff di operatori russofoni. In tal caso occorrerà superare una barriera culturale poiché in Russia l’uso di l’alcol, anche in eccesso, rientra spesso nella quotidianità di quelle popolazioni e molti, pur dipendenti, non si considerano malati, non pensano di trovarsi in una situazione in cui devono essere assistiti. Sarà la Casa di Cura Villa Silvia a Senigallia, in piena continuità con la metodologia del Centro San Nicola, ad ospitare questi nuovi pazienti.

Al di là della nazionalità, quale è la tipologia dei vostri ospiti?
Normalmente i pazienti hanno un’età media intorno ai 25/30 anni, capita ovviamente che siano anche meno giovani, specie quelli inglesi. Il loro inserimento è comunque filtrato per acclararne la predisposizione al percorso. Vedremo ora con i russi quali fasce di età saranno coperte.

Il rehab, abbiamo detto, si distingue per un metodo innovativo, ‘Minnesota o dei 12 passi’, quale è il valore aggiunto di questo percorso terapeutico? Perché ci avete creduto così profondamente?
Il nucleo del programma è un recupero individuale, che si sviluppa dal primo passo, in cui si ammette la propria dipendenza, fino all’ultimo portando la propria testimonianza ad un alcolista in fase attiva. Più in generale, la filosofia che sta dietro a questo programma è senza dubbio il recupero della spiritualità dell’individuo, in maniera laica ovviamente. La spiritualità è un valore universale, un momento fondamentale della vita dell’uomo. Il programma prevede che l’ospite assuma una reale presa di coscienza dei propri limiti sino ad una piena consapevolezza che il superamento della dipendenza passa proprio dalla grande forza di una spiritualità ritrovata e vissuta a molteplici livelli. Dottor Aliotta, ora il campo delle dipendenze è cambiato e si è anche allargato… Basta fare il confronto tra il telefono, oggetto identificativo del novecento, e gli strumenti attuali, computer ipad, iphone… che moltiplicano all’infinito gli effetti della vecchia cornetta, con aumento della diffusione e confusione sociale cui si contrappone, per paradosso, un livello di socialità pari allo zero. Questo porta all’abuso del mezzo, sino al manifestarsi delle patologie più gravi, c’è chi non mangia, si isola, non esce più di casa… Senza contare l’utilizzo esasperato di foto, immagini, video, il tutto all’interno di una dimensione che confonde pubblico e privato, votata all’apparenza e portatrice anch’essa di dipendenza. Tra le più recenti, cito la ludopatia, la quale, se riflette una perdita di valori evidente, è tuttavia anche il frutto, in parte almeno, di una condizione oggettiva, la crisi economica devastante del 2009. Molti hanno cercato rifugio in quel Gioco diventato presto un tentativo disperato di uscita dalla povertà attraverso eventuali vincite. Direi che le varie dipendenze hanno sostanzialmente acquisito le forme e le dinamiche della società in cui sono maturate, rappresentandone in alcuni casi uno specchio purtroppo molto nitido.